L’anno delle previsioni sbagliate
Buongiorno a tutti e ben ritrovati nella newsletter di Egos Finance.
Riprendiamo i nostri appuntamenti settimanali facendo un resoconto di quello che è stato il 2023 fino ad adesso. Se si volesse riassumere tutto con una frase, potremmo quasi sicuramente dire che si tratta dell’anno con il maggior numero di previsioni sbagliate. Eh sì, perché da inizio anno strategyst, analisti ed economisti hanno fatto errori di previsione su tassi, andamento della curva dei tassi, dollaro e, soprattutto, andamento del mercato azionario, per non parlare dei dati macro.
Come molti di voi ricorderanno, a gennaio, lo S&P 500 era visto crollare per tutto il 2023. Il fatto che si chiudesse l’anno in territorio negativo era una certezza.
Ora, a distanza di 9 mesi, molti analisti hanno dovuto rivedere le loro previsioni. Da inizio anno, infatti, con l’indice americano che ha già segnato circa +20%, le previsioni sono salite di conseguenza (area arancione).
La settimana scorsa ha capitolato anche l’ultimo dei ribassisti: Boutle, strategyst di BNP Paribas che aveva un target per fine anno per lo S&P 500 a 3400 punti. Nell’intervista a Bloomberg, lo strategyst ammette di aver tenuto così a lungo questo target, non perché non era cosciente dell’andamento dei prezzi ma perché non voleva farsi guidare dal sentiment del mercato.
Giusto per farvi capire che il caso di BNP Paribas non è poi così isolato, solo nei mesi estivi si è assistito alla revisione del target da parte di OppenheimerFunds e Fundstrat (due tra le più grandi case di gestione al mondo) rispettivamente a 4900 e 4825 punti. Credit Suisse ha invece portato la previsione a 4700 punti.
Il risultato è che ora il target medio di fine anno per lo S&P 500 si aggira sui 4350 punti, non molto lontano dai 4450 punti attuali dell’indice.
Insomma, sembra che la paura di sbagliare nuovamente sia grande. Non sia mai che questi personaggi da stipendi a 6 cifre perdano il loro posto di lavoro…
Ma qual è il motivo di tutte queste previsioni così sbagliate? Secondo la nostra interpretazione, il grosso errore che gli analisti hanno fatto è stato sui dati macro. Le proiezioni economiche ad inizio 2023 erano estremamente negative con un mercato del lavoro che avrebbe dovuto far segnare la disoccupazione più alta dal 2008 e un’economia che sarebbe dovuta cadere in recessione profonda.
Inutile dirvi che niente di tutto questo sia successo.. Anzi, l’economia rimane forte e la crescita solo marginalmente rallentata. Il mercato del lavoro, invece, non dà cenni di rallentamento. Questo nonostante il potere d’acquisto delle famiglie sia stato massicciamente eroso dall’aumento del costo della vita e soprattutto dall’aumento delle rate dei mutui e dei finanziamenti, i cui tassi sono ormai proibitivi.
E da ora in poi…?
Nel corso del mese di agosto molti attendevano il discorso di Powell al simposio di Jackson Hole per poter prendere le posizioni in vista della fine dell’anno. Alcuni lo hanno definito un non-event, altri invece hanno colto un piccolo cambiamento nell’approccio.
Cerchiamo di capirlo insieme.
Il presidente della FED non ha abbandonato il suo tono hawkish ma non ci sono state novità particolarmente aggressive nel senso di una ulteriore restrizione. Secondo Powell la politica monetaria è ora decisamente restrittiva. Rispetto ad un anno fa:
i tassi reali a 2 anni sono saliti di 250 punti base
mentre quelli a 10 anni sono saliti di 150 punti base.
Questo, insieme al restringimento del credito all’economia operato dal sistema bancario, dovrebbe produrre un rallentamento più o meno marcato.
Secondo il presidente della FED, però, questo rallentamento fatica ad arrivare. Egli stesso ha riconosciuto che le previsioni sul PIL sembrano indicare una crescita sostenuta e, in tal caso, la FED è pronta ad aumentare ancora i tassi, se necessario, o per lo meno a mantenerli ad un livello elevato finché l’inflazione non si porterà in modo stabile verso l’obiettivo del 2%.
Vista la resilienza dell’economia, alcuni analisti si attendevano che Powell facesse un possibile accenno al fatto che la FED potesse alzare le sue stime sui tassi reali di equilibrio di lungo periodo. Questo avrebbe trasformato la politica della FED in una strutturalmente più restrittiva, cosa che il mercato avrebbe digerito con difficoltà. Niente è stato detto da parte di Powell che, anzi, ha ribadito la difficoltà di identificare un tasso di interesse di equilibrio di lungo termine.
In definitiva, si tratta di un discorso senza novità, che non aggiunge molto a quanto non si sapesse già.
A questo punto bisogna fare qualche ragionamento logico.
È vero che l’economia continua ad essere resiliente ma non bisogna far finta di niente su alcuni indicatori importanti. I dati sull’inflazione hanno mostrato che molte delle pressioni inflazionistiche si stanno affievolendo. Il mercato del lavoro, seppur ancora piuttosto tonico, ha smussato gli eccessi visti nel corso degli ultimi trimestri. Le nuove buste paga del settore non agricolo viaggiano ora sotto le loro medie storiche, le pressioni salariali iniziano a perdere momentum e la disoccupazione è salita di qualche decimo di punto (3.8%, il livello più alto da marzo 2022).
Come se non bastasse, la contrazione di richieste di nuovi mutui (forse il dato più trainante di tutta l’economia americana) si trova ora sui minimi del 1995.
Ora… visti questi dati e aggiunti al discorso di Powell, cosa se ne può dedurre?
Alcuni operatori sostengono che è giunta l’ora di guardare ad un futuro processo di normalizzazione dei tassi. E tale processo deve necessariamente passare per un irripidimento della curva dei rendimenti, ossia uno storno dei rendimenti a breve (scadenze entro i 2 anni) ed un rialzo/lateralità dei rendimenti a lungo (scadenze sopra i 10 anni).
Vi ricordiamo infatti che questo processo di rialzo dei tassi ha portato ad una delle più grosse inversioni della curva di sempre: -1.10% (i tassi a breve quotavano intorno al 5% e quelli a lungo 3.9% circa).
Si tratta sicuramente di una delle più interessanti operazioni del momento ma vogliamo ricordare a tutti voi che coloro che sostengono un ritorno della curva dei tassi in positivo nel breve periodo, sono gli stessi che la prevedevano 9 mesi fa e che prevedevano un indice S&P500 a 3500 punti (ora ne quota 1000 in più).
Inoltre, qualcosa sicuramente non quadra in questo processo di previsione.
Più volte abbiamo dimostrato che il ribasso dei mercati azionari si ha proprio quando la curva dei tassi, dopo un periodo in territorio negativo, ritorna ad essere positiva.
E adesso, tutti i gestori prevedono un mercato azionario rialzista ed una curva dei tassi in positivo?
Insomma, se pensavate di tornare dalle vacanze e trovare un mercato finanziario più calmo e tranquillo, vi sbagliavate di grosso. L’attenzione deve continuare a rimanere alta e noi cercheremo di aiutarvi, settimana dopo settimana, ad investire per raggiungere i vostri obiettivi. I mercati non si possono prevedere, ormai questo si sa :)
Vi auguriamo un buon inizio di settimana.